Anche nel corso della pandemia il centro diurno e di consulenza “La Sosta”, gestito dalla Cooperativa sociale River Equipe del Gruppo Volontarius, ha continuato ad offrire un servizio importante a persone senza fissa dimora e vulnerabili.
Per avere un quadro complessivo dell’attività del centro abbiamo intervistato la referente della struttura, Francesca Bertagnolli, che la gestisce assieme ai due operatori, Parang e Robert.
“Prima dell’emergenza Covid – sottolinea la responsabile – il centro ospitava una ventina di persone tra maschi e femmine nella fascia orario tra le 9 e le 15. Alle persone viene offerta la possibilità di soddisfare le esigenze primarie grazie al servizio docce e alla lavanderia, la mensa per il pranzo è a pagamento al prezzo simbolico massimo, imposto dal bando dell’Azienda servizi sociali del Comune di Bolzano, di 1 euro. Presso di noi possono informarsi e consultare gli annunci con le offerte di lavoro e quant’altro. La mattinata si svolge in maniera abbastanza libera con l’accesso alle docce. Le persone hanno un posto di riferimento dove consumare una colazione con una stanza comune dove possono riposarsi, leggere il giornale, fare piccoli giochi da tavolo. Il pomeriggio, di solito, viene strutturato con attività ludiche e manuali. Solitamente abbiamo un volontario che si occupa assieme a noi di piccoli laboratori che vanno dalla preparazione di lavoretti manuali, legati alle festività e principalmente il riutilizzo di materiale di riciclo. Cerchiamo di dare nuovo uso a materiali di riciclo e cerchiamo di mantenere le persone attive. Il progetto, prima di questa emergenza, era quello di realizzare un mercatino dove vendere gli oggetti realizzati dagli utenti per dare un messaggio positivo alla collettività riguardo all’impegno di queste persone che tra molte difficoltà riescono a esprimere creatività e impegno.
Oltre a questi servizi di bassa soglia abbiamo un accompagnamento progettuale. La mission del servizio non è l’assistenzialismo, quindi non solo un posto dove fai la doccia, mangi e stai al caldo, ma in particolare dal luglio del 2019 abbiamo avuto l’autorizzazione dalla Giunta provinciale di lavorare con le persone in un’ottica progettuale. La nostra equipe educativa cerca di sostenere le persone in progetti di reinserimento sociale e di miglioramento della loro condizione di vita. I progetti sono individualizzati e funzionali alle capacità, ai bisogni e agli obiettivi che ciascuna persona si pone."
Il nostro intento è quello di sostenere le persone nella realizzazione dei loro obiettivi e nel loro percorso di cambiamento.
Dal luglio del 2019 è stato aperto l’accesso al servizio, in funzione progettuale, anche ad alcune donne extracomunitarie che sono ospiti del servizio notturno di Casa Conte Forni che accedono anche alla parte diurna per essere coinvolte da noi in un’ottica di progetto. Al momento c’è un forte sbilanciamento verso gli over 50, con alcuni trentenni. La maggior parte degli utenti sono persone prive di una rete sociale che li sostenga sul territorio, molti sono stranieri (principalmente dall’Est Europa) e si tratta di persone adulte multiproblematiche e in forte condizione di vulnerabilità sociale. In sostanza è difficile trovare una problematica prevalente, nella maggior parte dei casi riguarda l’abuso di alcol, di sostanze, molto forte negli ultimi anni anche la problematica psichiatrica e c’è soprattutto una difficoltà relazionale e psicologica. Nell’80% dei casi le persone hanno sicuramente dei disturbi psichiatrici che sono identificabili anche da parte di personale sociale, ma non sono prese in carico da nessun servizio sul territorio. Quindi non sono trattati farmacologicamente e non hanno diritto o accesso a nessun tipo di percorso riabilitativo. Si tratta di una vera e propria “zona grigia”.
Il grande problema per gli utenti stranieri è che non hanno accesso al sistema sanitario nazionale che è vincolato alla residenza e quindi non hanno alcun tipo di copertura sanitaria.
Con lo scoppio della pandemia il Centro ha cercato di seguire le linee guida di Casa Forni quindi è stato chiuso l’accesso a nuove persone, ma ha comunque cercato di non limitare i propri servizi. E’ venuto a mancare da marzo anche l’apporto dei due volontari che si occupavano rispettivamente dell’attività di piccolo artigianato e della distribuzione dei pasti. La maggior parte dell’utenza ha avuto la possibilità di rimanere ospitata per tutta la giornata presso la struttura di emergenza invernale di via Carducci, gestita dai volontari di SOS Bozen e della San Vincenzo, che è rimasta aperta sino a poche settimane fa. “Abbiamo fatto un lavoro di rete e siamo riusciti a far sì che la maggior parte dei nostri ospiti avesse la possibilità di rimanere in una struttura h24 con pranzo e cena. In tutto questo periodo 7/8 utenti sono stati quindi ospitati in sicurezza e hanno utilizzato il centro per il servizio di lavanderia. In questo modo siamo riusciti a mantenere con loro una relazione e a fornire informazioni sulla situazione a livello locale e nazionale”. Da metà di marzo tutte le ospiti del servizio notturno di Casa Forni hanno potuto utilizzare la struttura del Centro “La Sosta” nell’arco della giornata. Si tratta complessivamente di 18 donne più alcuni ospiti che avevano una situazione di sicurezza sul territorio per la notte ma non avevano un sostegno diurno. Complessivamente dall’inizio della pandemia la struttura viene quindi utilizzata da 24 utenti.
“La nostra attività – prosegue Francesca Bertagnolli - è cambiata molto in quanto abbiamo allargato l’orario di apertura sino alle ore 17 per consentire alle persone di usufruire di una maggiore tutela. Abbiamo cercato il più possibile, nel rispetto delle norme di sicurezza, di offrire un contesto di accoglienza cercando di identificare delle attività che potessero offrire anche un po’ di svago in un momento come questo di difficoltà. Ovviamente anche gli utenti sono preoccupati per i loro parenti lontani, per le loro situazioni individuali, per la possibilità di riapertura delle attività lavorative. Per alcune persone che stavano per trovare un inserimento lavorativo si è trattato di una brusca interruzione dei loro progetti di vita. La loro convivenza forzata è difficile in quanto si sono trovate da un giorno all’altro ad essere “chiuse” nella stessa stanza con persone sconosciute con la difficoltà di gestire gli spazi. Diventa quindi complicato gestire la vita quotidiana. A questo scopo è stato fatto un grande lavoro di rete per cercare di rendere la convivenza il più tollerabile possibile. A questo scopo sono stati organizzati anche corsi di cucina, è stata data la possibilità di utilizzare i computer della struttura per seguire alcuni corsi online e abbiamo avviato al nostro interno corsi di italiano e di alfabetizzazione. Va sottolineata la buona collaborazione di rete con i servizi del territorio”.
Si è anche cercato di sfruttare appieno le loro competenze, ad esempio con un piccolo appuntamento quotidiano per fare un po’ di ginnastica. E’ anche ripartita la ricerca di lavoro, soprattutto nel settore dell’agricoltura, cercando di strutturarsi per essere pronti a riprendere la vita normale nel migliore dei modi.